mercoledì 21 marzo 2007

Ragioni di un Blog.

Lavoroincoop, dove è soprattutto la soggettività del "io lavoro" quella che vogliamo rappresentare e valorizzare, nasce da una esigenza precisa. Quella di riempire un vuoto di informazione, sempre più intollerabile; e offrire uno spazio di confronto libero, accessibile, non censurabile e non censurante.
Per noi il deficit di informazione, infatti, è sempre portatore di un deficit di partecipazione e, dunque, di democrazia. Le bacheche sindacali sono sempre più povere di comunicati, prese di posizione sulla realtà aziendale e sui vari aspetti della vita politica ed economica del nostro Paese. Nelle assemblee, sempre più spezzettate e diradate, si ha sempre più la sensazione di fare discussioni inutili, in quanto le decisioni sono state già prese e decise in altri luoghi. C’è una grande e grave mancanza di coinvolgimento della base nei processi decisionali.
Le forme tradizionali della rappresentanza sono importanti, ma non bastano più.
Occorre sorreggerle con elementi di partecipazione, occorre creare un "sistema di connessioni" . L'espressione non è nostra, appartiene a Paul Ginsborg, autore di un interessante e opportuno libro: La democrazia che non c'è, Einaudi 2006, nel quale sostiene, appunto, che la “democrazia che non c’è in questo momento é la democrazia della partecipazione dei cittadini“.
Questo Blog vuole essere parte integrante di quel sistema di connessioni che dia la possibilità , a tutti i lavoratori della distribuzione cooperativa, di condividere informazioni, confrontarsi, collegarsi tra loro, e diventare protagonisti attivi della vita sindacale e non spettatori ininfluenti.
L’ invito che vi rivolgiamo non è solo di leggere il materiale pubblicato, bensì quello di arricchirlo con i vostri commenti ed i vostri contributi.
L’augurio è quello di essere in molti a farlo.

martedì 20 marzo 2007

Quando un medico ascolta il personale di un ipermercato.

Si crede che il progresso tecnologico possa liberare l’uomo dalla alienazione dal lavoro. Quel tempo non è ancora arrivato. Ne è una testimonianza un libro molto interessante: Diario di un medico del lavoro. La sofferenza al lavoro, Le Cherche midi - Témoignage, Paris, 2006, di Dorothée Ramaut, uscito da poco in Francia, suscitando molto interesse, interviste televisive e numerose recensioni; citiamo ad esempio quella su L’Humanité, Le Monde e Le Figaro. Ci auguriamo che venga tradotto presto in Italia e che, anche nel nostro paese, medici del lavoro coraggiosi ed indipendenti compiano analoghe “imprese“. Viviamo in una società nella quale ciò che non è detto non esiste, può esistere solo quello che può essere nominato, scritto nei giornali o comparire in televisione. Ecco perché rompere il silenzio è essenziale e liberare le parole della gente che soffre, per dirla con l’autrice, diventa importante.
Il libro della Dottoressa Ramaut affronta gli impatti e gli effetti "collaterali " di una organizzazione aziendale, quale quella di un ipermercato parigino. Da giugno del 2000 a marzo del 2006, ha tenuto fedelmente un diario delle sue consultazioni quale medico del lavoro, e offre una testimonianza straordinaria delle “sofferenze” subite dai salariati. E’ stato calcolato che in Francia il costo economico dei danni alla salute, della sicurezza e dei maltrattamenti da lavoro sia tra i 45 e i 70 miliardi di euro ogni anno.
I casi che presenta, rilevabili per ora solo dalle interviste rilasciate e dalla lettura di qualche brano in lingua originale, sembrano casi limite, lontani dalle dinamiche interne al “mondo coop”. Tuttavia, il fatto che succedano in un paese molto avanzato quale la Francia, e nel settore anch’ esso moderno della grande distribuzione commerciale, rendono la divulgazione del libro un dovere di informazione ineludibile.
Di seguito riportiamo l’intervista che Dorothée Ramaut ha rilasciato al quotidiano Il Manifesto:

LA SOLITUDINE DELLE CASSIERE

di Anna Maria Merlo

Parigi - Quando Engels ha scritto sulla situazione della classe operaia in Inghilterra, nel 1848, c'erano più domestici che lavoratori delle manifatture, ma aveva capito che la novità era qui.
Così oggi, anche se i dipendenti degli ipermercati o dei call center non sono maggioranza, è in questi luoghi che si configurano le condizioni di lavoro che il nuovo capitalismo vorrebbe generalizzare.
Pressione delle gerarchie, sui lavoratori precari e su se stesse, solitudine del lavoratore a causa della progressiva debolezza sindacale, paura di perdere il posto: questa situazione viene interiorizzata, si ripercuote sulla salute. Per questo lo sguardo di un medico del lavoro può oggi aiutare a capire come si configurano le nuove sofferenze sul lavoro.
Dorothée Ramaut da vent'anni è medico del lavoro in un ipermercato della periferia parigina.
Ha appena pubblicato un diario della sua esperienza, Journal d'un médecin du travail. Témoignage (Le Cherche Midi, 174 pagine, 10 euro), dal giugno 2000 al marzo 2006, che sta sollevando in Francia grande interesse.

Come si è resa conto che i lavoratori, anche i quadri, vivevano la sofferenza che lei descrive?

Non me ne sono resa conto subito. L'azienda, quando qualcuno non stava bene, aveva sempre la stessa giustificazione: è un cattivo elemento. Ma quando ho avuto di fronte a me uno di questi cattivi elementi, che lavorava nel supermercato da più di 15 anni, mi sono interrogata, mi sono detta : ma qui c'è qualcosa che non va. Il problema è che i quadri sono inseriti in un sistema dove sono contemporaneamente protagonisti e vittime.

Lei sottolinea la solitudine dei lavoratori.

Non c'è più solidarietà, ma regna la paura. I sindacati sono paralizzati, perché sono costituiti da esseri umani, che vivono nella paura. Tutti sanno cosa succede quando qualcuno sta male, lo sanno i quadri dirigenti, lo sanno i clienti dell'ipermercato, che osservano la situazione, lo sanno le istanze esterne, come l'ispettorato del lavoro, i controllori della Sécurité sociale, i comitati di igiene e sicurezza. Ma nessuno dice niente.
La gente accetta il sistema perché non può fare altrimenti.
Nelle imprese della grande distribuzione c'è molto precariato, molto subappalto e molti sono alla ricerca di un posto. Le persone si sentono rivali tra loro, le solidarietà non funzionano più, le strategie professionali e di difesa non funzionano più. I più deboli diventano vittime, ma la mia esperienza mi ha mostrato molti casi in cui uno che si credeva forte, che era un capo, da un giorno all'altro si ritrova debole a sua volta, senza capire perché.

Le malattie che queste persone sviluppano sono soprattutto psichiche o anche fisiche?

Ci sono malattie fisiche, mal di schiena, mal di testa, ipertensioni arteriose, eczemi, psoriasi, fino all'infarto, con la morte come conclusione, ulcere, diarree. E' difficile quantificare.
Poi ci sono le malattie mentali, depressione, incubi, persone che si svalorizzano, che perdono la stima di sé, cosa che può arrivare fino al suicidio. E' l'identità dell'individuo che viene toccata e questo lascia sempre delle tracce.
Queste persone dall'identità demolita, demoliscono a loro volta quella degli altri.
La sera, a casa, si sfogano sulla famiglia.
C'è da chiedersi come fanno a trasmettere dei valori ai figli, quale valore del lavoro possano tramandare. Ma ogni volta che ho osservato un caso di malattia del genere, la direzione mi ha sempre risposto: non è il lavoro, è perché il dipendente ha dei problemi privati. Questa risposta evita così di fare un'analisi del lavoro.
Anche stamattina, la stessa cosa: un'impiegata con problemi di salute, «è la menopausa» mi ha detto il capo. Tutto viene addebitato all'individuo, evitando così di rimettere in causa il lavoro. Mentre tutti gli studi dicono che quando il lavoro non va ci sono ripercussioni sulla vita privata, mentre il contrario non è vero, anzi.
Almeno c'è il lavoro, si dice quando ci sono problemi privati.
Un tempo i lavoratori erano fisicamente stanchi. Ma c'era lo spazio per recuperare. Oggi non è più possibile, quando il lavoratore è ferito nell'identità personale.
Nel mio supermercato i dipendenti non vengono criticati per sbagli fatti sul lavoro, cosa che può essere compresa, ma toccati nell'identità : a chi ha più di 35 anni, chiamati «italiano», «portoghese», invece che per nome, «di gente come te sono piene le pattumiere», ecc. E' destabilizzante.

Lei scrive che i medici del lavoro hanno oggi la responsabilità di denunciare la situazione, per non farsi accusare, come è stato con l'amianto, di aver chiuso gli occhi?

E' la stessa cosa. Noi sappiamo, ma poi non riusciamo a farci ascoltare. Mai viene chiesto il parere a un medico del lavoro nello spazio pubblico. Per questo ho scritto questo libro. Ma non pensavo che avesse un impatto del genere: la situazione è quindi più grave di quello che pensassi.

Eppure le leggi di protezione dei lavoratori esistono, come mai non funzionano?

Certo, l'arsenale giuridico esiste. Ma quando un lavoratore denuncia un caso di molestia sul lavoro, è molto difficile trovare delle testimonianze. Siamo sempre di fronte alla stessa questione: domina la paura, le solidarietà sono scomparse, conta solo la redditività, i profitti a breve. La riscossa deve partire a livello di ogni impresa, secondo me, per ritroavre il rispetto reciproco, per ristabilire il dialogo.
Anche le imprese devono capire che l'essere umano deve essere rimesso al centro. Oggi in Francia si parla molto di rimettere al lavoro le persone di più di 50 anni.
Ma se le trattano così, nessuno accetterà. Io sono costretta a consigliare a qualcuno che soffre di andarsene, di licenziarsi. Quando c'è stata la rivolta delle banlieues, l'anno scorso, è stato detto: è colpa del fatto che non hanno lavoro.
Ma se poi, sul lavoro, c'è un'estrema violenza, come se ne esce?


(Il manifesto, 11 ottobre 2006)

giovedì 15 marzo 2007

Parte la concertazione tra governo e sindacati.

Il 13 marzo, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta, ha dichiarato che i tavoli per la concertazione con le parti sociali, partiranno il prossimo 22 marzo. Sono varie le materie oggetto di confronto: previdenza, ammortizzatori sociali, rilancio della economia, riforma della pubblica amministrazione. Chi volesse leggere il documento unitario nella sua interezza, può trovarlo al seguente: link
Invece, quello che sottoponiamo alla vostra attenzione, è una dichiarazione che Guglielmo Epifani ha rilasciato a Fabio Fazio, nella trasmissione televisiva Che tempo che fa, del 25 febbraio scorso. Riporto testualmente: "Abbiamo fatto un documento unitario per mettere a punto, con le altre organizzazioni sindacali, le questioni da affrontare con il governo. Su questo documento apriremo assemblee in tutti i luoghi di lavoro”. Avete letto bene: "apriremo assemblee in tutti i luoghi di lavoro". Come mai nel nostro settore, l'indicazione del segretario generale del più fortre sindacato italiano, non è stata rispettata? Prima della legge finanziaria, fu già firmato un memorandum sulle pensioni, senza alcuna consultazione tra i lavoratori, ora la storia si ripete nuovamente. Nell'Ipercoop da dove nasce questo blog, quello di Roma Casilino, di assemblee non ce ne sono state, e la nostra bacheca sindacale non contiene neppure un documento informativo su questa vicenda. Inoltre, non ci risulta che in altre punti vendita si siano organizzati degli incontri con i lavoratori su tali argomenti così importanti e delicati. Ci piacerebbe molto essere smentiti! Ed è per questo, che aspettiamo i vostri commenti.

sabato 10 marzo 2007

La previdenza integrativa, dubbi ed incertezze.

Entro il 30 giugno del 2007, saremo chiamati a decidere se trattenere il nostro TFR in azienda, oppure se destinarlo alla previdenza complementare, nel nostro caso il Fondo Negoziale "Previcooper".
In merito abbiamo dei dubbi e delle incertezze che vorrmmo condividere e discutere con voi.
Innanzitutto, va proposta una correzione terminologica. Si parla di previdenza "integrativa", ma integrativo significa un qualcosa che si aggiunge, un qualcosa in più. In realtà, poichè il TFR siamo invitati ad investirlo nei fondi, non riceveremo più, al termine della nostra vita lavorativa, un gruzzoletto da portare a casa (una somma che vale 50/60.000 euro) così come può fare ora chi va in pensione con il sistema pre Dini (legge del 1995). Ci sembra una perdita economica di non poco conto. e che ci porta dunque a proporre il termine più appropriato di previdenza "compensativa", poichè sostituisce, compensa un qualcosa che non avremo più, visto che il TFR ci servirà per completare una pensione che viene ridotta.
Infatti, mentre col vecchio sistema, quello retributivo, si matura una pensione che corrisponde a circa il 70-80% della retribuzione, col nuovo sistema, quello contributivo, la pensione sarà all’incirca del 45-50% dello stipendio. Una perdita economica di grande rilievo.
Di fronte a un corso della storia che dovrebbe vedere migliorate le condizioni materiali delle persone che lavorano, constatiamo, con amarezza, che è accaduto l’opposto: quelle condizioni sono peggiorate!
E dunque, eccoci ora di fronte ad una scelta ineludibile: è giusto, conviene iscriverci ai Fondi Pensione?
Per prima cosa analizziamo i dati relativi ai rendimenti. Ci invitano, infatti, ad aderire ai fondi pensione dicendoci che rendono di più del TFR.
Quest’ultimo, ogni anno vale, garantito dalla legge, una percentuale fissa dell'1,5 % alla quale si somma il 75% del tasso d'inflazione corrente, arrivando ad una cifra intorno al 3%. Apparentemente, sembra un rendimento modesto. Facciamo un confronto, comparando i fondi pensione chiusi e il TFR nel quadriennio 2000-2003:

dal 1/1/2000 al 31/12/2000:
Fondi chiusi +3,55 ___TFR +3,54
dal 1/1/2001 al 31/12/2001:
Fondi chiusi -0.50 ___TFR +3,20
dal 1/1/2002 al 31/12/2002:
Fondi chiusi -2.80 ___TFR +3.50
dal 1/1/2003 al 31/12/2003:
Fondi chiusi +5,00 ___TFR +3,20

Totale: Fondi chiusi +5,25
---- TFR +13,44

Riassumendo, i fondi pensione chiusi, nel quadriennio in esame, hanno avuto un rendimento medio intorno al 5,25%, contro un 13,44% offerto dal TFR. Praticamente, se avessimo investito il nostro TFR nei fondi pensione di categoria avremmo avuto un rendimento inferiore dell' 8,19% - senza considerare che dalle cifre relative ai fondi vanno tolti i costi di gestione, costi che il TFR non ha, essi sono infatti pari a zero.
A sconsigliare di fatto l'investimento del TFR nei Fondi, è lo stesso Professore Luigi Scimia, attuale presidente della COVIP (Ente di vigilanza sui fondi pensione) nonchè ex presidente del Fondo Pensione dei lavoratori della BNL.
Riportiamo una sua dichiarazione, rilasciata al Corriere della Sera nel 2004:

"Il Tfr batte i fondi pensione"

di Marro Enrico

<< ... Tra gli elementi decisivi che i lavoratori dovranno valutare c'è quello del rendimento. Quello del Tfr è certo (1,5% più il 75% dell'inflazione), quello dei fondi dipende dall'andamento dei mercati. Secondo i dati illustrati da Scimia, nei primi otto mesi del 2004, il rendimento medio dei fondi pensione negoziali (quelli istituiti da accordi tra aziende e sindacati) è stato del 2,3%, leggermente sopra la rivalutazione del Tfr, pari al 2,1%. I fondi aperti (offerti da banche e assicurazioni) hanno invece reso in media l' 1,8% (il 2,3% quelli con investimenti prevalentemente obbligazionari, l' 1,4% quelli azionari).
"Estendendo l'orizzonte temporale all'ultimo quinquiennio - ha aggiunto il presidente della Covip - il confronto con il Tfr è tuttavia abbastanza critico anche per le gravi turbolenze che hanno accompagnato i mercati finanziari". Dal 1999 al 2004 i fondi negoziali hanno reso il 14,2%, quelli aperti il 5,2% mentre il Tfr si è rivalutato del 17,9%. >> Corriere della Sera PENSIONI, 16/10/2004 pag. 29

Dunque, può accadere che in un singolo anno le performance dei Fondi chiusi possano superare quelle del TFR. Ma se aumentiamo l'arco temporale, i dati attestano il contrario: è il TFR che sta rendendo di più, così come si vede anche da questi dati, desunti dall'ultima relazione annuale della Commissione di vigilanza sui fondi pensione e pubblicati dal giornale La Repubblica nel gennaio del 2007:

rendimenti ultimi 6 anni (2000-2005):

Fondi Negoziali 17,2
Fondi Aperti 3,7
Tfr 18,8

Va sottolineato , e questo vale anche per i numeri citati da Scimia, che occorre scorporare, dai dati relativi ai Fondi, i costi di gestione dei medesimi; operazione che aumenterebbe ancora di più la differenza tra i rendimenti. Prima conclusione: l'incertezza dei rendimenti dimostra che la scelta di affidare alla borsa il proprio futuro pensionistico è quantomeno azzardata e che l'unico interesse certo è quello delle Banche, delle Assicurazioni , dei gestori dei Fondi stessi e dei mercati finanziari, sempre più alla ricerca di danaro (l’ammontare complessivo delle liquidazioni vale circa 19 miliardi di euro all‘anno!).

Un altro ambito di perplessità, riguarda il quadro normativo nel quale si è costituita ed opera la previdenza compensativa.
Infatti, se si legge il contratto del Fondo Previcooper con attenzione, si troverà scritto, e questo vale per tutti i fondi negoziali, che il "fondo non dà garanzie di rendimento". Ci invitano ad iscriverci, ma non ci garantiscono neanche un minimo di rendimento, neanche uguale a quello del TFR! Perchè il sindacato e le forze politiche della sinistra, che dovrebbero dunque avere a cuore le condizioni materiali dei lavoratori, non si sono battuti per avere Fondi con garanzie di rendimento minime? Perchè? Perchè, per esempio, non si è scelto di aumentare il rendimento del TFR, di 2 o 3 punti? Lo Stato non si accollerebbe i costi di compensazione per le aziende che perdono il TFR (600 milioni di euro l'anno ) e le liquidazioni avrebbero una maggiore rivalutazione nel tempo, garantita per legge. Perché non si è impedito che la tassazione sul TFR passasse, dal 2000 al 2006, dal 12% circa (grazie ad una detrazione delle allora 600.000 lire per ogni anno di accantonamento) all’attuale 23%? Nell’attuale parlamento ci sono iniziative legislative volte a diminuire, in futuro, il prelievo fiscale sul TFR, perchè non si sostengono con forza? Perché?
E perchè tanto tempismo legislativo quando si tratta di toccare gli interessi delle categorie più deboli e più povere, e tanta lentezza quando si tratta di colpire gli interessi delle categorie più forti e più ricche? Un esempio: nella campagna elettorale scorsa, è trascorso ormai un anno, sia i dirigenti sindacali che i dirigenti politici della sinistra gridavano allo scandalo nel vedere le rendite finanziarie tassate al 12,50, proponendo che venissero portate almeno al 20%. Questa indicazione è pure scritta nel programma di governo. Perchè, a distanza di una anno, questo provvedimento legislativo non arriva? Perchè le rendite finanziarie sono ancora tassate al 12,50, mentre, quando lo Stato tassa i cittadini più poveri, per pagare gli interessi sul debito pubblico, preleva il 23% sui redditi da lavoro? Perchè? Perchè i sindacati e i partiti della sinistra non protestano più, non gridano più allo scandalo?
E perchè non si richiede a gran voce la reintroduzione della penalizzazione per il reato di falso in bilancio, reato che è stato depenalizzato dal governo Berlusconi nella passata legislatura? Perchè?
Non vogliamo ricordare il caso della americana Enron (negli USA, il falso in bilancio è punito con pene che prevedono la reclusione sino a 25 anni di prigione), né l‘Inghilterra, dove i fondi sono più diffusi e dove i fallimenti e le crisi sono continui e ripetute con la perdita, in certi casi, non solo della pensione ma anche del capitale versato. Ci basta quello che sta succedendo in Italia. Innanzitutto, va menzionato il fallimento della Sicilcasse, che ha azzerato il fondo pensione di migliaia di bancari, i quali forse riusciranno a recuperare il 15 od il 25% del versato.
Il fondo della BNL è in stato pre-fallimentare.
Alla fine di gennaio apprendiamo che “è stato scoperto un ammanco di bilancio per oltre 40 milioni di euro nella cassa IBI, il fondo pensione degli ex dipendenti dell’Istituto Bancario Italiano, incorporato in Cariplo nel 1991, ora nel gruppo Intesa-Sanpaolo. L’ammanco è superiore alla metà dell’intero patrimonio del fondo, a cui è iscritto oggi circa un migliaio di dipendenti del gruppo”. (dal Il Sole24ore del 31/01/2007, Cassa IBI, al via le indagini della COVIP.
Non più di in mese fa, si scopre il crack del Fondo Pensione del Teatro Carlo Felice di Genova.
Da Il Sole24ore del 17/02/2007, Fondi, quel crack a Genova: “Si è salvato dal crack del fondo pensione solo chi, giunto alla fine della sua carriera lavorativa, ha riscattato tutto il capitale prima del 2002. Dopo il diluvio, Oggi gli oltre 300 tra pensionati e lavoratori attivi del Teatro Carlo Felice di Genova non sanno se riusciranno a recuperare quanto versato nel Fondo di previdenza integrativa a favore del personale dell’Ente Autonomo Teatro Comunale dell’ Opera di Genova. Il Fondo costituito nel 1971 con un accordo tra i sindacati e l’Ente Teatro è andato in liquidazione nel maggio del 2004 - il primo in Italia - con un deficit, secondo il conteggio del commissario liquidatore Ermanno Martinetto, di quasi 9 milioni di euro. E ormai a dare una risposta a questi lavoratori e pensionati saranno solo le carte bollate e la moneta”.
E cosa dire del pesante conflitto di interessi che investe i Fondi: il 96% delle SGR - società di gestione del risparmio, coloro cioè che andranno a gestire i soldi che confluiranno nei fondi pensione - sono di proprietà di Banche ed Assicurazioni!
La gestione del Fondo Previcooper, ad esempio, è in mano all’ Unipol, la compagnia assicuratrice che nel 2005, l’anno dei furbetti del quartiere, vide due suoi dirigenti, Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti, dimissionari al cda Unipol del 9 gennaio 2005, al centro di una inchiesta da parte della magistratura per “appropriazione indebita, ricettazione ed associazione a delinquere”. Corriere della sera 05.01.2006.
“Dai quaranta ai cinquanta milioni di euro. Tanto avrebbero ottenuto il presidente di Unipol Giovanni Consorte e il suo vice Ivano Sacchetti, negli anni, con operazioni di acquisto e repentina vendita di titoli alla Bpl di Giampiero Fiorani e all'Hopa di Emilio Gnutti che poi avrebbero girato loro parte delle plusvalenze per ricompensarli.” La repubblica 27/12/2005.
Quanti altri fallimenti di Fondi Pensione, quante altre indagini della magistratura dobbiamo aspettare per arrivare a questa seconda conclusione: il quadro normativo nel quale si trovano ad operare i Fondi - depenalizzazione del falso in bilancio e conflitto di interessi - non è affatto rassicurante.
Così come poco rassicurante è lo scenario internazionale nel quale i mercati finanziari operano e al quale sono molto sensibili. E anche qui non c’è bisogno di ricordare il crollo della Borsa avvenuto con l’11 settembre. Basta citare la giornata nera del 27 febbraio di quest’anno, nella quale col crollo della Borsa di Shangai, che ha trascinato quella americana e di riflesso quella europea, si sono bruciati circa 8oo miliardi di euro in un giorno solo - in Europa si sono bruciati sui mercati azionari 272 miliardi di euro di capitalizzazione.
Il mercato finanziario è un mercato veramente globale, utilizza le reti telematiche per gli scambi e le operazioni, è un mercato transnazionale dove un capitale può essere riciclato anche più volte al giorno, con poche regole e privo di trasparenza. Trae i suoi utili dalla speculazione, cioè gioca sulle differenze dei cambi o delle quotazioni azionarie tra un mercato e l’altro. Tale mercato è concentrato in poche mani, più o meno 200 operatori a livello mondiale. Ebbene gli operatori più forti sono i gestori dei fondi di pensione americani ed anglosassoni (i Mutual Funds) che gestiscono fondi per un valore di 7.000 miliardi di dollari, cioè 12 milioni di miliardi di lire - il sistema pensionistico americano è privato, cioè gestito da enti finanziari che investono enormi somme sui mercati finanziari azionari od obbligazionari e dove la speculazione è potente: ad esempio, in poche ore avendo puntato sulla svalutazione della moneta argentina ha costretto il governo a spendere il 10 % del PIL del paese per sostenerla, portando l’Argentina al crack finanziario a tutti noto. E’ un mercato anche dove si rischia molto:si dice che George Soros, uno dei maggiori finanzieri del mondo (il quale fu oggetto di indagini per speculazioni finanziarie, sia da parte di organi ufficiali americani che di due procure della repubblica italiane ) abbia perso 2 dei 10 miliardi di dollari che possiede, nella speculazione sul rublo.
E’ vero che la creazione, nel 1998, dell’unione monetaria europea ha tra i suoi scopi la creazione di un sistema di scambi stabili e la tutela delle monete deboli, tuttavia il recente crollo della Borsa, sopra ricordato, dimostra che il mercato europeo non è affatto al riparo dalle grosse speculazioni finanziarie mondiali, che si muovono in un quadro sostanzialmente privo di controlli.
Ci dicono che i Fondi Pensione sono il secondo pilastro della nostra futura pensione. Ebbene, nello scenario appena descritto, come si può pensare e credere che questo pilastro poggi su basi solide? Noi crediamo il contrario! E consigliamo le lavoratrici ed i lavoratori di non aderire ai Fondi e di chiedere ai sindacati di cambiare strategia, di battersi per rafforzare la previdenza pubblica, battersi per aumentare il rendimento del TFR e per sostenere le iniziative legislative volte a diminuirne il prelievo fiscale.