domenica 30 settembre 2007

Confcommercio rompe la trattativa sul rinnovo del contratto.

Il 25 del mese scorso, la Confcommercio ha rotto le trattative per il rinnovo del contratto nazionale del Terziario, che riguarda quasi 2 milioni di lavoratori.
La commissione sindacale, riunita a Roma dall‘associazione dei commercianti (che non ha firmato il protocollo del 23 luglio), in una nota “ha confermato all'unanimità che non esistono al momento spazi per proseguire nella trattativa”.
“I timori di Confcommercio - ha spiegato il suo presidente, Francesco Rivolta - si sono concretizzati nel protocollo. A partire dall'abolizione dello scalone concordato solo con il sindacato - anche se gli aumenti che inevitabilmente ne deriveranno cadranno su imprese e lavoratori attivi - per arrivare al mercato del lavoro, ammortizzatori e competitività”. La rottura del negoziato viene inoltre argomentata con il costo del lavoro (incrementato dalla piattaforma del 9%) che le imprese “sono costrette a sostenere per competere, e che non può essere considerato una variabile indipendente e non influente sul rinnovo del contratto”.
Immediata la replica delle segreterie nazionali Filcams Fisascat Uiltucs, le quali con un comunicato hanno denunciato “l’atteggiamento dilatorio e strumentale della Confcommercio che, con argomentazioni pretestuose, si è rifiutata di entrare nel merito delle richieste della piattaforma presentata dalle organizzazioni sindacali e ha posto come pregiudiziale una discussione sugli avvisi comuni (che molto probabilmente avrebbe voluto che il sindacato accettasse a scatola chiusa) da presentare al governo sul tema del mercato del lavoro“.
“Il confronto - prosegue il comunicato - sugli avvisi comuni in materia di apprendistato, contratti a termine e contratti di inserimento su cui ci eravamo lasciati a luglio, aveva prodotto un testo già quasi definito, anche se con alcune nostre precisazioni di merito. Se l’avviso comune sul mercato del lavoro non ha visto la luce, la responsabilità ricade tutta su Confcommercio che, a un certo punto, ha ritenuto di toglierlo dal tavolo negoziale, magari per “buttarla in politica” e avere poi più libertà per attaccare strumentalmente il governo e CGIL, CISL e UIL sul Protocollo del 23 luglio 2007“.
Le segreterie nazionale di Filcams, Fisascat e Uiltucs, prendendo atto che la Confcommercio teme il confronto di merito sui problemi, non avendo argomenti seri da opporre, hanno deciso di dare una risposta adeguata alla sua “arroganza”, proclamando “una giornata nazionale di sciopero (intero turno di lavoro) per SABATO 17 novembre (per chi lavora su sei giorni) e VENERDI’ 16 NOVEMBRE (per chi lavora sui cinque giorni) . Ulteriori iniziative e modalità, saranno definite nella riunione nazionale della delegazione trattante prevista per l’8 ottobre a Roma “

giovedì 20 settembre 2007

Si discute e si vota sul Protocollo sul "Welfare".

L’accordo sul Welfare, siglato il 23 luglio scorso, sarà sottoposto al giudizio di lavoratori e pensionati l’8, il 9 e il 10 ottobre, come stabilito con decisione unitaria delle tre organizzazioni sindacali. Non si tratta di un Referendum, bensì ci sarà un voto segreto e certificato, attraverso il quale si potrà esprimere la propria opinione sull’accordo. Il voto sarà preceduto da assemblee nei luoghi di lavoro, con le quali avviare un percorso di informazione e partecipazione. Poi l'intero Protocollo passerà all'esame del Parlamento, non si sa se nell’ambito della prossima Legge Finanziaria, o con un percorso legislativo a parte.
Di seguito ne indichiamo i punti più rilevanti.

Completamento della riforma previdenziale.
Superamento dello “scalone”, prevedendo nuovi requisiti per l’accesso al pensionamento di anzianità:
- dal 1° gennaio 2008 con 35 anni di contributi e 58 anni di età;
- dal 1° luglio 2009 al raggiungimento di una “quota” pari a 95 (la somma di età e contributi) con almeno 59 anni di età (60 anni di età e 35 di contributi o 59 anni di età e 36 di contributi);
- dal 1° gennaio 2011 al raggiungimento di una “quota” pari a 96, con almeno 60 anni di età (61 anni di età e 35 di contributi o 60 anni di età e 36 di contributi);
- dal 1° gennaio 2013 al raggiungimento di una “quota” pari a 97, con almeno 61 anni di età (62 anni di età e 35 di contributi o 61 anni di età e 36 di contributi).
In alternativa, rimane possibile l’accesso alla pensione di anzianità dopo i 40 anni di lavoro, a prescindere dall’età anagrafica.
- Lavori particolarmente “usuranti”. L’accordo prevede un anticipo di tre anni del requisito anagrafico per l’accesso alla pensione di anzianità con minimo 57 anni di età, per i lavoratori che abbiano svolto attività particolarmente usuranti per la metà della loro vita lavorativa, o per almeno 7 anni negli ultimi 10 anni.
- Per le donne è stata confermata l’età pensionabile, ai fini del pensionamento di vecchiaia, a 60 anni.
- Per i giovani, verranno rivisti i criteri e le modalità di revisione dei coefficienti di trasformazione per il calcolo della pensione col sistema contributivo, al fine di contrastare gli effetti negativi che la flessibilità e la discontinuità della carriera lavorativa potrebbe produrre al momento del pensionamento, salvaguardando un tasso di sostituzione netto minimo del 60% della retribuzione. Inoltre sarà possibile cumulare tutti i contributi maturati in qualsiasi gestione pensionistica per ottenere un’unica pensione.
- L’adeguamento delle pensioni al costo della vita è pieno (rivalutazione al 100%) anche per le fasce dal tre a cinque volte il trattamento minimo.
- Vengono incrementate le maggiorazioni sociali per i soggetti con pensione assistenziale (assegni sociali, invalidi civili, ciechi e sordomuti) con età pari o superiore a 70 anni, al fine di assicurare un reddito individuale mensile complessivo pari a 580 euro.

Ammortizzatori sociali.
Si avrà un aumento della durata della indennità di disoccupazione che verrà portata a 8 mesi per i lavoratori sino a 50 anni e a 12 mesi per i lavoratori con più di 50 anni. Aumenta anche l’importo della indennità, portata dal 50 al 60% per i primi 6 mesi, al 50% per il settimo e ottavo mese, al 40% per gli eventuali mesi successivi. Un aumento dell’entità e della durata dell’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti, che passerà dall’attuale 30% al 35% per i primi 120 giorni e al 40% per le successive giornate, sino ad una durata massima di 180 giorni. La copertura figurativa dei contributi previdenziali, è prevista per l’intero periodo di godimento dell’indennità e non più fino a 6 mesi per chi ha meno di 50 anni di età e 9 mesi per chi li supera.
Per quanto riguarda i giovani, una novità riguarda il riscatto del periodo di laurea a fini pensionistici, per il quale vengono previste condizioni più vantaggiose. Infatti, la rateizzazione del pagamento dei contributi viene estesa sino a 120 rate mensili e senza interessi (la legge in vigore prevede un massimo di 60 rate e un interesse del 2,5%).
- Creazione di un fondo di credito per i parasubordinati: potrà erogare un credito sino a 600 euro mensili per 12 mesi, ad interessi zero o molto basso, al fine di coprire eventuali periodi di inattività.
- Creazione di un fondo di microcredito per incentivare le attività innovative di giovani e donne, riprendendo l’esperienza del credito d’onore.
- Aumento dell’importo degli assegni di ricerca presso le Università.

Misure a sostegno della competitività.
Le retribuzioni erogate a titolo di premio di risultato dalla contrattazione di 2° livello, legate agli incrementi di produttività, godranno di sgravi fiscali per le imprese (sino al 25%) e per i lavoratori, ai quali è garantita la pensionabilità piena del premio di risultato (oggi non prevista).
Viene abolita la norma, contenuta in una legge del 1995, che prevedeva un ulteriore aggravio del costo per il lavoro straordinario a carico delle imprese.

Mercato del lavoro.
Il protocollo prevede una esplicita dichiarazione della centralità del rapporto di lavoro a tempo indeterminato secondo quanto affermato dalle direttive europee, un riconoscimento esplicito del ruolo della contrattazione collettiva e vengono indicate misure per la stabilizzazione del lavoro.
In particolare per il lavoro a tempo parziale, sarà la sola contrattazione collettiva a definire clausole elastiche e flessibili; saranno incentivati i part-time “lunghi” e si stabilisce il diritto di precedenza in caso di posti a tempo pieno disponibili.
Per il contratto a termine, si fissa un tetto massimo di 36 mesi di durata, dopo i quali nuovi contratti a termine possono essere stipulati solo davanti alle Direzioni provinciali del lavoro e con l'assistenza sindacale.
Verrà cancellato il lavoro a chiamata e verrà istituito un tavolo di confronto con le parti sociali sullo staff leasing.


I tre segretari di CGIL, CISL e UIL si sono espressi favorevolmente sia sull’intesa, come era scontato, sia sull’esito della consultazione.
Luigi Angeletti, in una intervista al Messaggero del 12 settembre 2007, ha sottolineato che quell’ intesa migliora le condizioni delle persone e, se i suoi punti venissero abrogati, quelle condizioni peggiorerebbero: "Proprio perchè l’accordo di luglio migliora le loro posizioni, ritengo che ci sarà il consenso della gente. Quell’accordo aumenta le pensioni per i giovani e non era mai accaduto. Per la prima volta inoltre abbiamo ottenuto che sugli aumenti negoziati nei contratti aziendali si paghino meno tasse. Aggiungo che ogni accordo che si stipula tra governo e sindacati non è negoziabile“.
Guglielmo Epifani, rispondendo alla domanda: “Il sì della Cgil è un sì convinto?”, posta da Enrico Galantini, per La rassegna.it (11 settembre 2007), ha risposto: “Nel momento in cui abbiamo sottoscritto l’accordo, sia pure con una riserva su tre punti specifici di una parte di esso (Epifani si riferisce alle risorse insufficienti per il superamento dello scalone Maroni, all’estensione di alcune tipologie di flessibilità e alla detassazione degli straordinari), non c’è dubbio che il nostro è un sì. Un sì convinto perché la somma delle acquisizioni contenute nel protocollo è di gran lunga superiore a quei tre motivi di riserva. Basta pensare alle materie oggetto dell’intesa. È la prima volta, ad esempio, che confederazioni e sindacati dei pensionati contrattano un aumento delle pensioni, a partire da quelle che hanno storie contributive alle spalle e sono più basse. Fin dai tempi della Dini avevamo chiesto di indicizzare meglio l’andamento delle pensioni al costo della vita e il fatto di aver innalzato al 100 per cento la rivalutazione per le pensioni fino a 5 volte il minimo rappresenta una scelta che va in quella direzione.”
Non sono solo i pensionati a beneficiare dell’intesa di luglio: “C’è tutta la parte sull’aumento delle indennità di disoccupazione, che parla circa a due milioni di lavoratori, spesso quelli che non si vedono e non fanno notizia. E la pensionabilità piena di questa indennità, il che per alcune categorie, penso agli stagionali, può voler dire recuperare tre o quattro anni di pensione piena... Senza parlare poi del fatto che su un tema delicato, la trasformazione dei coefficienti del sistema contributivo, l’indicazione di non portare sotto il 60 per cento la pensione futura dei giovani di oggi rappresenta un’indicazione programmatica di assoluto valore.” Sul capitolo del mercato del lavoro il giudizio del Segretario della CGIL è più articolato: “Accanto a cose positive – il diritto di precedenza, l’abolizione del job on call, un istituto particolarmente odioso anche a livello simbolico – avremmo voluto (e io spero che siamo ancora in condizione di avere) una risposta più netta su alcuni punti: va bene limitare a tre anni il tempo determinato, ma le clausole scritte all’ultimo momento nell’accordo non sono coerenti con questo obiettivo… Manca tutto il pezzo della previdenza agricola, definita, pattuita e poi scomparsa. Anche su questo il presidente del Consiglio e il ministro del Lavoro hanno preso l’impegno di intervenire. Bisognerà chiarire la questione dello staff leasing, perché in apertura di confronto il governo aveva detto che sarebbe stato superato; la commissione lavora in questa logica? Resta invece aperta la questione delle causali del tempo determinato. Poi c’è il secondo livello di contrattazione: recuperiamo la decontribuzione oggi esistente negli accordi aziendali, si detassa una quota del salario variabile. Detto questo, il giudizio non può che essere positivo. Perché su quasi ogni punto c’è un avanzamento… Se i lavoratori e i pensionati votassero a maggioranza contro l’accordo, voterebbero contro se stessi.”
Raffaele Bonanni, ha spiegato l'accordo sul welfare del 23 luglio all'assemblea dei delegati della CISL di Padova dichiarando: "E' l'accordo piu' importante dell'ultimo ventennio e non solo perché irrompe nella scena sociale e politica caratterizzata purtroppo da litigi e polemiche. Invece, questo accordo e' concreto e si rivolge a milioni di lavoratori: dimostrano che si possono unire interessi, motivazioni e volontà seppure partendo da posizioni diverse. E' una risposta concreta alla mancata coesione del paese. Il dato piu' significativo di questa vicenda e' che spezza questa condizione di litigio continuo tra tutti".
Contraria al Protocollo, la FIOM che ha bocciato l’accordo, in particolare la soluzione per il superamento dello scalone Maroni e le norme su mercato del lavoro, contrattazione e competitività. Il suo segretario, Gianni Rinaldini, in una intervista al quotidiano Il Manifesto, ha dichiarato: “Noi abbiamo apprezzato parti del protocollo - gli aumenti delle pensioni basse e gli ammortizzatori sociali, finanziati con l'extragettito - mentre valutiamo negativamente che il superamento dello scalone di Maroni sia totalmente auto finanziato. Ad esempio, il ripristino delle 4 finestre per chi ha 40 anni di contributi è completamente pagato dalle pensioni di vecchiaia, si allunga l'età lavorativa per recuperare 4 miliardi di euro. C'è addirittura una clausola di salvaguardia: se nel 2010 i conti non saranno in regola, scatterà un ulteriore onere contributivo dello 0,10% che graverà su tutti i lavoratori. Dunque, quello 0,30% di oneri contributivi dell'ultima finanziaria non servivano a superare lo scalone, come fu detto, ma a ridurre il debito pubblico.” La FIOM comunque non farà campagna contro l’accordo.

venerdì 14 settembre 2007

COMMERCIO - NO ALLE APERTURE DOMENICALI PER RISPETTO DEI LAVORATORI.

Riportiamo, di seguito, il testo del comunicato dei sindacati del terziario di Cgil-Cisl-Uil del Veneto:

"L'acceso dibattito che si è aperto in questi giorni nel Veneto e Vicenza sulla vicenda della liberalizzazione delle aperture dei negozi di domenica e dei giorni festivi, merita una seria riflessione da parte di tutte le forze sociali e istituzionali, essendo questo un tema di grande rilevanza sociale e politica ancorché economica e, per certi versi, morale e religiosa.
Da una parte vi sono molte organizzazioni sociali e tra queste quelle dei lavoratori, fortemente contrarie all'aumento del numero delle aperture domenicali e festive e dall'altra vi è chi spinge per aprire tutti i giorni dell'anno.
Tra questi ultimi vi è la grande distribuzione (Auchan, Carrefour, Coin, ecc?), che ha intrapreso una chiara azione di pressione politica affinché gli organi istituzionali accolgano le loro richieste di liberalizzare le aperture.
Unico obiettivo della grande distribuzione è quello di realizzare da un lato il massimo profitto costi quel che costi a prescindere da valori, dai contesti sociali e da chi in queste catene distributive ci lavora, dall'altro quello di soffocare la piccola distribuzione al dettaglio che in questo modo non avrebbe nè le risorse né i mezzi per competere.
I lavoratori e le lavoratrici diventano dei numeri, che si devono adattare a tutto, ad orari e nastri lavorativi spesso pesanti fino a forme di assunzione precarie e perciò più ricattabili. Esempio eclatante è l'utilizzo di precari da parte di UPIM a Verona per tenere aperto il giorno di Pasqua cosi come ha già fatto il giorno di Natale.
In questo contesto far conciliare i tempi di vita con i tempi di lavoro da parte dei lavoratori e soprattutto da parte delle lavoratrici, magari mamme, come hanno denunciato le tante commesse di Vicenza, è cosa assai difficile.
Le domeniche e i giorni di festa sono per le famiglie un momento di socializzazione familiare e per superare forme di isolamento e di crescente individualismo, causa spesso di forme di degrado sociale.
La società del consumismo sfrenato viene assunta come unico valore da perseguire.
PER VENDERE DI PIÙ NON È NECESSARIO APRIRE I NEGOZI TUTTI I GIORNI DELL'ANNO.
Già oggi i negozi e, soprattutto i supermercati, sono aperti sei giorni su sette fino alle 21 della sera, proprio per venire incontro alle esigenze diversificate dei consumatori.
Così come quasi tutti gli uffici pubblici restano chiusi la domenica, giustamente, analogamente ci si può fermare nei giorni festivi nel comparto della distribuzione.
La crescita dei consumi non dipende dall'ampliamento delle aperture ma dall'aumento delle disponibilità economiche delle famiglie. E' necessario aumentare le pensioni e i salari dei lavoratori se si vuol risolvere i problemi della distribuzione. Negli ultimi cinque anni i salari italiani sono cresciuti meno di tutti i paesi europei e sono circa la metà rispetto a quelli dei tedeschi .
PER TUTTE QUESTE RAGIONE RITENIAMO CHE IL PROBLEMA DEGLI ACQUISTI DEBBA ESSERE AFFRONTATO DIVERSAMENTE DA COME PENSA DI FARE LA REGIONE VENETO ED IL SINDACO HULLWECK .
L'attuale legislazione consente deroghe alle chiusure per 12 giornate (4 natalizie + 8 durante l'anno). A queste si aggiungono ulteriori deroghe legate alle Città d'arte e Città turistiche.
PER QUESTO RITENIAMO NECESSARIO FERMARCI ALLE 12 GIORNATE.
Come FILCAMS CGIL, FISASCAT CISL, E UILTUCS UIL regionali e provinciali proponiamo di:
- avviare una vera discussione su cosa offrire alla gente in termini di impiego del tempo libero nelle città dal punto di vista culturale e ricreativo;
- confermare le attuali 12 deroghe alle chiusure domenicali;
- escludere le deroghe per le seguenti giornate: primo gennaio, Pasqua, venticinque aprile, primo maggio, due giugno, quindici agosto, Natale, S. Stefano;
- rivedere i concetti di Città d'arte e Città turistica, e che comunque anche in queste località non hanno senso deroghe per tutto l'anno;
- prevedere forme contrattuali collettive di turnazione del presidio domenicale da parte dei lavoratori e delle lavoratrici senza discriminazioni nei loro confronti ( oggi le nuove assunzioni non hanno alcuna maggiorazione per lavoro domenicale );
- rivedere i piani di rilascio delle licenze da parte degli Enti Locali e la loro distribuzione sul territorio.
Le forti prese di posizione dei giorni scorsi da parte di CONFCOMMERCIO e CONFESERCENTI evidenziano come la tesi della liberalizzazione indiscriminata che la regione Veneto vuole adottare non è condivisa nemmeno dai datori di lavoro. E' solo la grande distribuzione, in particolare quella straniera molto presente nella nostra realtà, a sostenere e a volere concretizzare tale obiettivo da molti non condiviso.
PER IL BENE DI TUTTI FERMIAMOCI A 12 DOMENICHE ALL'ANNO.
Ogni forzatura può solo provocare ulteriori lacerazioni sociali di cui non ne abbiamo assoluto bisogno".

Vicenza, 2 aprile 2007