sabato 3 novembre 2007

La Coop eri tu.

Pubblichiamo un interessante articolo - tratto da Left, 12.10.2007 - nel quale, partendo dalla recente polemica tra il Patron di Esselunga e la Coop, alcuni dirigenti sindacali vengono intervistati sulle condizioni di lavoro all'interno della distribuzione cooperativa.

La Coop eri tu.

Sfida con la Esselunga a colpi di offerte speciali per conquistare i consumatori. Ma le condizioni di lavoro sono sempre più difficili. Fine di un modello solidaristico?

Di Paola Mirenda

Da un lato Esselunga, dall’altro Coop. I due colossi della distribuzione si affrontano in queste settimane a colpi di comunicati stampa: la prima a aprire le ostilità è stata l’Esselunga di Bernardo Caprotti che ha affidato a un libro, Falce e Carrello, un duro atto di accusa contro Coop. Alla società rivale si imputa di aver usato ogni mezzo per impedire lo sviluppo del gruppo lombardo, usando il proprio potere politico. Ma Coop ribatte accusando Esselunga di spionaggio industriale volto a determinare una concorrenza sleale sui prezzi.
Per entrambi i marchi infatti il prezzo basso è l’arma per battere la concorrenza: promozioni, sconti, tessere fedeltà, offerte speciali. Tuttto è utile per attirare il consumatore, per “fidelizzarlo”, per indurlo a tornare in un negozio che deve essere percepito come parte della famiglia. Il consumatore, per Esselunga e Coop - ma il discorso vale per tutto il settore - è l’unico interesse. Un soggetto astratto, individuato solo per il suo ruolo di consumatore, sciolto da ogni relazione sociale. Ma abbassare o contenere i prezzi significa tagliare i costi, in particolare quello del lavoro: negli ultimi anni, sia in Coop che in Esselunga, si è assistito alla riduzione dei diritti dei lavoratori, dal punto di vista contrattuale e sindacale. Nonostante i duecentomila lavoratori della grande distribuzione organizzata (Gdo) rappresentino una fetta consistente di quei consumatori che si vogliono tutelare, i loro diritti non vengono considerati.

Se il “consumatore” ottiene un vantaggio certo non lo ottengono i lavoratori delle due catene, costretti sempre più a turni impossibili, stretti tra contratti di ingresso che li privano delle garanzie elementari, e con meccanismi interni che sono al limite del caporalato. “Ormai vige il sistema del piccolo padroncino, dove ogni caporeparto instaura meccanismi di personalismo che schiacciano ogni possibilità di azione collettiva”, conferma Luca Taddia, della Filcams di Bologna.
La coop per tanti anni è stata la mosca bianca del settore, e ancora oggi i suoi contratti integrativi consentono maggiori vantaggi rispetto alle altre catene della grande distribuzione. Ci sono però differenze nelle varie Coop che, è bene ricordarlo, sono indipendenti l’una dall’altra. La Coop Estense, che nel 2002 ha visto un lungo braccio di ferro con il sindacato, è stata accusata dalla stessa CGIL di “logica confindustriale”. Va meglio in altre sedi, ma ormai il disagio dei lavoratori è palese. “E’ chiaro che per competere sul mercato anche la Coop deve ridurre i costi”, aggiunge Bruno Mignucci, della Filcams Roma. “La disparità di contratto determina una difficoltà di rapporto interno, e impedisce spesso la solidarietà tra i lavoratori, che fino a poco tempo fa era una costante”. I nuovi assunti di Coop e Ipercoop non hanno le stesse garanzie assicurate ai lavoratori in forza da più tempo: contratto di ingresso a 36 mesi senza applicazione dell’integrativo, abuso del part-time che in Ipercoop arriva fino al 90 per cento della forza lavoro, una rigida catena gerarchica in cui entrano a far parte anche le aziende in appalto.
“Questo - aggiunge Mignucci - fa sì che nelle Coop si diffonda la mentalità di quelle aziende, fatta di atteggiamenti del tipo “fai come dico io e ti promuovo”. Manca lo spirito cooperativistico, e i lavoratori giovani, a part-time o a tempo determinato, sono i più ricattabili. Spesso anche il sindacato ha difficoltà ad intervenire. Nonostante questo, la realtà Coop resta ancora la migliore per i lavoratori del settore”. Migliore non significa ottima, come è possibile desumere dalle rare testimonianze dei lavoratori. C’è una forte paura a raccontare, il timore di essere individuati e quindi sanzionati, e certo non aiuta l’ultima sentenza della Cassazione che consente il licenziamento del lavoratore che parlando male dell’azienda romperebbe irrimediabilmente il rapporto di fiducia. I lavoratori che parlano chiedono di non essere citati, e solo dal sindacato vengono fuori episodi, piccoli e grandi, che disegnano la vita lavorativa nella grande distribuzione.
“Il problema non è tanto nei contratti, ma nella realtà di ogni singolo negozio”, spiega ancora Tadddia.
“Qui sono il capo settore o il capo reparto che determinano l’andamento interno. La discrezionalità del capetto di turno fa si che un lavoratore sia tutelato o meno. Ci sono stati episodi di cassiere che hanno chiesto di andare in bagno perché avevano le mestruazioni, e il capo settore ha mandato a controllare che ci fosse davvero l’assorbente nel cestino…” Se episodi come questo non rappresentano una violazione contrattuale, ma solo una pratica costante, in altri casi il problema è rappresentato dal mancato rispetto degli accordi lavorativi, soprattutto per quello che riguarda il lavoro domenicale e la turnazione.

“È un problema sia in Esselunga sia in Coop. Per contratto dovrebbe esserci una pausa di undici ore tra un turno e l’altro, ma capita sempre più spesso che un lavoratore sia in turno fino alle 22, e poi ricominci il giorno dopo alle 6,30. Se il sindacato protesta presso l’azienda, ti viene risposto che il dipendente era d’accordo. È come quando ti chiedono di venire al lavoro per sole due ore: certo, nessuno ti obbliga, ma la lista dei buoni e dei cattivi è sempre lì a ricordarti cosa è meglio per te». Anche dalla Uil confermano la stessa situazione, in particolare per quello che riguarda Esselunga. «Oggi le cose sono migliorate rispetto a qualche anno fa, grazie anche alla denuncia di lavoratori coraggiosi. Ma il sistema resta intatto», dice Bruno Pilo della Uiltucs. «Va tutto bene finché non richiedi cose che ti spettano di diritto: se lo fai, finisci inevitabilmente nel libro nero. L’azienda vuole solo gente fidelizzata, che non crei problemi in nessun modo. E a quanto pare, i diritti sono ancora un problema». Le cifre del part-time sono indicative per capire il rapporto che si instaura tra lavoratore ed azienda nella Gdo: solo il 10 per cento lo sceglie volontariamente, il resto è imposto dalle aziende, che si assicurano così un’ampia flessibilità e un maggiore potere sul lavoratore, perché è più facile chiedere straordinari e domeniche a chi ha uno stipendio minimo. Dove è possibile, le aziende cercano l’esternalizzazione dei servizi, soprattutto nella logistica: a Scandicci (Firenze), il magazzino Coop è stato affidato a una cooperativa esterna. Qui la gente lavora anche dodici ore di seguito, con paghe orarie che sono la metà di quelle interne, e con un’incidenza degli infortuni ormai mensile. «Coop ed Esselunga sono molto brave a creare facciate ben spendibili, sia sul commercio equo e solidale sia sulla tutela dei diritti dei lavoratori delle ditte produttrici estere, o a fare campagne con l’Unicef contro il lavoro minorile. Poi in azienda, dove non si vede, la realtà è ben altra», conclude Taddia.
Il controsenso di cui non parlano né Caprotti di Esselunga né Tassinari, il presidente di Coop Italia, è tutto qua: difendere il consumatore significa sì proteggere il suo potere d’acquisto, ma all’origine, non alla fine. Non solo nel carrello della spesa, ma anche nel salario.






1 commento:

Anonimo ha detto...

Ho letto tardi questo post e vedo che da unpò il blog non da notizie di se stesso perciò potrebbe anche non esserci nessuno di là a ricevere il mio commento.
comunque bravi avete colto nel segno.Io lavoro al magazzino di Scandicci e vedo che siete informati sulla nostra situazione,che peraltro è destinata a peggiorare,e nei punti vendita non cè certo da sorridere.
adesso poi con questo nuovo ccnl....meglio sarebbe cambiar mestiere.